Il Gatto Randagio
Recita il dizionario della lingua italiana Devoto-Oli: “Si dice randagio di animale che vaga solo, senza padrone”. Tutti sappiamo chi sono un cane o un gatto randagi, ma pochi sanno che la definizione data poc’anzi calza a pennello al cane e mal si addice al gatto.
- Gatto randagio?
Il gatto, nelle nostre città, non “vaga” affatto solo, ma è un animale territoriale, cioè legato a un luogo al quale fa sempre ritorno, per quanto lunghi possano essere i suoi vagabondaggi. Questo comportamento non è casuale: il “territorio”, definito in termini tecnici “un’area protetta dall’intrusione di conspecifici, cioè di altri gatti”, contiene le risorse necessarie per sopravvivere e per riprodursi.
I gatti, come tutte le specie territoriali, “sono stati selezionati” a fare riferimento, a non allontanarsi eccessivamente e a difendere il luogo che contiene il cibo, innanzitutto, e poi i rifugi, le femmine e i piccoli. Anche lo spazio nell’ambiente urbano può essere considerato una risorsa da difendere, poichè le città non abbondano di luoghi adatti ad essere colonizzati dai gatti. Di conseguenza, quando un gruppo di felini domestici “conquista” i luoghi intorno o dentro delle rovine storiche, vicino a un monumento, in un angolo di una piazza, in un giardino pubblico o privato, “se lo tiene ben stretto”, nel senso che lo difende aggressivamente nei confronti di gatti estranei e sconosciuti.
Quindi, la definizione di “randagio” non è adatta al gatto che ha sempre un punto di riferimento preciso dove fare ritorno.I gatti, inoltre, in città godono di alcuni privilegi: la Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo del 14 agosto 1991, n. 281 stabilisce non solo che i gatti senza padrone possono occupare luoghi pubblici e privati, ma anche che non possono essere catturati, maltrattati e tantomeno uccisi.
Ma non possono essere nemmeno spostati dalla loro colonia; ancora, la legge (rafforzata dalla norma regionale n. 34 del 1997) decreta che i gatti che vivono liberi per le strade devono essere sterilizzati dal Servizio Veterinario Pubblico e reintrodotti nella loro colonia; infine, istituzionalizza la figura della “gattara” o del “gattaro”. Questi, riuniti in Associazioni protezionistiche o in Associazioni di animalisti volontari, possono, di concerto con il Servizio Veterinario Pubblico e, laddove esistente, l’Ufficio dei Diritti Animali del territorio, essere incaricati ufficialmente della gestione della colonia felina.
- Come vivono i gatti senza padrone? Come si organizzano?
I gatti vivono in gruppi con molti maschi e molte femmine sullo stesso territorio difeso contro i gatti intrusi che appartengono ad altre colonie. Quasi sempre il nucleo centrale della colonia è costituito da femmine imparentate, cioè mamme, figlie, zie, cugine, nipoti e così via. Infatti, i comportamenti amichevoli tra le femmine sono molto frequenti: quando si incontrano si toccano il naso con le code alzate, si s trusciano l’una sull’altra, si puliscono reciprocamente, dormono a contatto.
Alcuni di questi comportamenti li osserviamo anche nei nostri gatti di casa, rivolti a noi, perché i gatti ci mostrano il loro atteggiamento amichevole negli stessi modi: si strusciano sulle nostre gambe con le code alzate quando ci chiedono cibo e attenzioni, come fanno i gattini con la mamma; fanno le fusa per manifestarci il loro stato di benessere, e così via. I comportamenti amichevoli si osservano anche tra le femmine e i maschi adulti, ma non tra i maschi adulti del gruppo: tra questi ultimi c’è invece solo tolleranza reciproca.
Un altro comportamento che ci colpisce è la cooperazione tra le femmine adulte per l’allevamento dei gattini: queste istituiscono una vera e propria nursery dove si alternano ad allattare, pulire, giocare e difendere i gattini propri ma anche di altre femmine. In realtà, trattandosi come già detto di parenti, “danno una mano” nell’accudimento di nipoti e fratelli.
I maschi adulti della stessa colonia sono organizzati in una gerarchia di dominanza, con il maschio più competitivo al primo posto. Questo significa che ci sono i maschi di alto rango e i maschi di basso rango, ben distinguibili: i più grossi, aggressivi, dal portamento fiero, i più “guappi”, o “machi” se si preferisce, sono di alto rango. Mostrano tolleranza reciproca ma, quando si incontrano, non perdono occasione per confrontarsi.
I combattimenti veri, tra i gatti, sono rari, ma quelli “ritualizzati” sono molto frequenti. Vengono chiamati ritualizzati perchè consistono di molte minacce senza contatto fisico: i due contendenti arruffano il pelo, si mettono in una postura minacciosa gonfiando i muscoli, la testa di lato, gli occhi obliqui, la coda che sferza l’aria. Emettono dei sordi brontolii alternati a urli acuti. Quando sembra che stia per scoppiare il finimondo, senza essersi ancora toccati, per motivi che sfuggono all’osservatore umano, uno dei due abbassa lo sguardo e comincia ad allontanarsi lentamente, facendosi piccolo piccolo. L’andamento di un combattimento vero è ben diverso, e le conseguenze si possono vedere sulle orecchie e sui musi dei maschi più competitivi, coperti di cicatrici. È stato verificato con l’analisi del Dna che, generalmente, i maschi di alto rango sono quelli che generano più gattini. Ma nell’ambiente urbano, a causa dell’alta densità di gatti, è frequente la paternità multipla, ovvero le cucciolate che hanno più di un padre. Questo fenomeno è molto più raro nell’ambiente rurale.
- Cosa cambia quando i gatti sono sterilizzati?
Dopo la sterilizzazione, i gatti vivono ancora in colonie sociali, e la gerarchia non cambia, beninteso se tutti gli individui sono sterilizzati. I gatti sono molto meno attivi e vagabondano in spazi meno ampi, sono meno aggressivi e talvolta si sottomettono a gatti estranei alla colonia ma, al di là degli effetti sul comportamento degli individui, è utile domandarsi che conseguenze ha portato il grosso sforzo in termini di tempo, energie, denaro pubblico e sforzo dei Volontari nelle campagne di sterilizzazione. Le verifiche condotte ci dicono che i gatti non sono diminuiti in maniera sostanziale.
In realtà, il vero nodo del problema è un altro, ovvero gli abbandoni di animali da parte dei privati.
Ciò che è emerso è che le campagne di sterilizzazione vanno affiancate a delle campagne di informazione che cambino la mentalità delle persone. Finché ci saranno cittadini che culturalmente non accettano la sterilizzazione, oppure che non vogliono affrontare i costi della stessa, e che abbandonano per strada i gattini nati in casa, oppure gli adulti dei quali si sono stufati, il numero di gatti per strada non cambierà sostanzialmente perché i gatti di casa rappresentano un serbatoio infinito.